Castelvecchio

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Inaugurata la mostra permanete dedicata a Vittorini

on 27 marzo 2023 in Umberto Vittorini Collezione, Vittorini Umberto | Commenti disabilitati su Inaugurata la mostra permanete dedicata a Vittorini

Finalmente è stata inaugurata la mostra permanete dedicata a Vittorini,  a Barga, in Via dell’acquedotto n°3. Si può visitare gratuitamente, il sabato 10-12 e la domenica 15.30-18, previa prenotazione obbligatoria ( per motivi di lavoro ) via mail a : [email protected]

 

inaugurazione

PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA PERMANENTE: Ci rende orgogliosi il fatto che, a Barga, la sua città natale, si sia realizzato, questo progetto, che può vantare l’importante patrocinio del Comune di Barga e della Fondazione Ricci ETS, atto a valorizzare e a restituire la sua centralità a un grande Maestro del Novecento.
Nell’attuale percorso espositivo vi sono circa 90 opere di Vittorini, divise in disegni grandi e piccoli, grafica, acqueforti e dipinti.
Il tutto integrato con grafiche degli amici: Lorenzo Viani, Moses Levy, Alberto Magri, Adolfo Balduini, Benvenuto Benvenuti e una scultura di Italo Campagnoli.
Non esiste qualcosa di simile a livello pubblico, in quanto Vittorini è relegato principalmente nelle collezioni private.
Con l’eccezione di Palazzo Blu e del Museo della grafica a Pisa, in molti musei, Vittorini è presente esclusivamente con dei ritratti o autoritratti, o una acqueforte.
Troppo poco per un artista del quale anche la biografia, per la difficile reperibilità di fonti documentarie, specialmente in riferimento agli anni degli esordi, risulta in parte incompleta.
Questo anche perche Vittorini era molto riservato riguardo alla sua arte, lasciava che fossero le sue opere a parlare per lui, e non ha lasciato nessuna memoria scritta.
Non dimentichiamo che la sua prima, e alquanto sintetica monografia, risale al 1957, dopo quasi mezzo secolo d’attività.
Alcuni critici, hanno delineato alcuni suoi periodi artistici, differenziandoli in “Pisano” e “Milanese”.
Negli anni ’70, ci fu una “gara” tra Pisa e Barga per rivendicarne le origini, in una sorta di campanilismo artistico.
Una risposta chiara e univoca, la troviamo nelle sue disposizioni testamentarie.
Se è giusto rivendicarne le origini, definirlo solo con Barghigiano, Pisano o Milanese, è riduttivo, perché essendo un personaggio che entra di diritto tra i protagonisti dell’arte del novecento appartiene a tutti.
Sommariamente, l’esposizione, in questo allestimento, si apre con una sezione di grafica, con dei piccoli disegni provenienti da taccuini che Vittorini utilizzava come primo passo per la realizzazione di molte sue opere.
Non può mancare la serie del 1914, dedicata “ai mulini”, caratteristici della Corsonna, la Valle in cui è nato.
Seguono altri disegni, con due opere altrettanto importanti perché evidenziano, come Vittorini, per realizzare le sue incisioni, partiva da un disegno preparatorio.
Ecco allora “Il Duomo di Pisa” e “Meati” che si collocano agli inizi degli anni Venti.
Dopo queste opere di grafica, passiamo alla pittura e agli anni Venti.
Questa sezione vede Pisa protagonista, la città dove la famiglia Vittorini, verso la fine dell’ottocento, aveva spostato la sua residenza e dove Umberto frequenterà le scuole che lo formeranno e gli consentiranno di accedere allo studio di Edoardo Gordigiani.
Prima di rientrare in Italia,e stabilirsi per alcuni anni a Pisa, Gordigiani aveva maturato importanti esperienze all’estero.
Aveva esposto con successo negli Stati Uniti (tra le opere di questo periodo ricordiamo il ritratto a Eleonora Duse) e il pittore Alfredo Muller, amico di famiglia, lo aveva accompagnato in Francia alla scoperta dalla poetica degli impressionisti e, soprattutto, della pittura di Cèzanne.
Durante i suoi soggiorni parigini ebbe modo di conoscere personalmente gli impressionisti francesi e tra questi Cézanne, Renoir e Toulouse-Lautrec.
Gordigiani, con il suo stile di vita, le sue frequentazioni, sicuramente affascinò il giovane Vittorini.
Il loro fu però un legame diverso dal classico maestro-allievo.
Un rapporto, come scrisse il critico Biasion, nato in maniera casuale, figlio della richiesta al direttore della scuola industriale di Pisa, di un allievo.
È la scuola che gli segnala Umberto Vittorini a creare i presupposti di questa frequentazione.
Gordigiani, lasciando libero arbitrio al Vittorini di esercitare la sua arte, non ne condiziona le inclinazioni. Infatti in molti, proprio per questo, mettono in dubbio questo alunnato, che sotto certi aspetti assume una forma rivisitata di mecenatismo.
Gordigiani introduce l’allievo nel mondo dell’arte, ne condivide e supporta le prime esperienze artistiche, dove necessariamente Vittorini deve essere valutato dalla giuria d’accettazione degli eventi più importanti, per non avere ancora maturato gli accrediti necessari.
Vittorini negli anni della formazione, anche attraverso il pittore Edoardo Gordigiani, ha avuto il privilegio di conoscere personalità di spicco della cultura italiana e mondiale, Pascoli, Puccini, la Duse, D’Annunzio insieme ad altri artisti e letterati.
Il primo quadro (Cipressi alla Gamberaia – Settignano) del 1927, ci riporta proprio a questo periodo. È un ricordo delle visite a Gordigiani, che nel frattempo si era trasferito a Firenze dove aveva aperto uno studio, e di Muller che risiedeva in una villa a Settignano.
Segue, tutta una serie di opere, sempre anni Venti, dedicate a Pisa , per arrivare all’ultima Festa sull’Arno del 1923 dove l’artista, sperimenta opere concepite in un momento di fervida e intensa creatività, che culminerà con Donne e Putti nel giardino, l’opera segnalata come “composizione liricamente animosa, originalissima”, con cui fece il suo esordio alla Biennale di Venezia del 1924, di cui possiamo vedere in collezione un disegno preparatorio.
Altra opera importante è Festa in campagna degli anni Venti.
Ne esiste una versione leggermente più grande, confluita nelle collezioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra, datata 1922, che porta per noi l’affascinate titolo di “Fiera di Barga”, alla quale l’artista si può essere ispirato ma che ha poi realizzato lasciandosi trasportare dalla fantasia.
Arriviamo poi agli anni Trenta e il trasferimento a Milano, cambiano le luci e i colori, spesso il tempo e gli impegni all’Accademia di Brera, dove Vittorini è assistente di Carrà alla cattedra di pittura, non consentono quel costante contatto con la natura al quale Vittorini era abituato.
Vittorini si dedica allora con più frequenza alla natura morta, e al ritratto.
Inizia così una lunga serie di autoritratti e ritratti di Vittorina, figure riprese con una costanza di studio e d’amore che ha rari precedenti e nessun riscontro tra i pittori italiani a lui contemporanei Non a caso un critico titolò il suo articolo, “due volti mille ritratti”, una sequela che contraddistingue i due personaggi lungo tutta la loro esistenza, evidenziandone in qualche modo i momenti lieti e quelli tristi.
In questa sezione, abbiamo importanti opere, come “Figura di profilo”, esposta alla Galleria del Milione, di Milano, nel 1944, che ci riporta al periodo quando Vittorina venne arrestata e deportata a Bergen Belsen, lo stesso campo dove trovò la morte Anna Frank.
Vittorini, in segno di protesta espose, in una Milano occupata da tedeschi e fascisti, numerosi quadri dedicati alla moglie deportata.
“Donna che lavora” del 1932, è una delle venti opere presenti nel 1955, alla terza esposizione degli artisti d’Italia a Milano, a Palazzo Reale.
In quella occasione a Vittorini venne concessa una intera sala per esporre i sui quadri.
Questa opera è stata anche di ispirazione per la realizzazione di un quadro, che non a caso riporta lo stesso titolo, ovviamente rivisitato sulla base delle maturate esperienze, che Vittorini realizzò per la Collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, che venne esposta alla Biennale di Venezia del 1950.
Altra opera da segnalare, è l’autoritratto esposto alla seconda quadriennale di Roma del 1935.
Abbiamo poi una sezione grafica dedicata alla Grande Guerra, con opere facilmente riconducibili per la presenza di soldati, altre legate ai luoghi di guerra, paesaggi o persone, che se non fosse per l’indicazione geografica, nulla li farebbe ricollegare a questo contesto.
Sono tutti disegni che il Vittorini soldato, aveva realizzato su degli album che teneva sempre con sé.
Un periodo, raccontato anche da Lorenzo Viani, che ne aveva condiviso gli ultimi mesi di guerra sugli Altipiani di Asiago, in una sua recensione su Vittorini.
Segue poi una sezione di grafica, con paesaggi cari a Vittorini, e con un disegno esposto nella antologica, al museo nazionale di S Matteo a Pisa, nella sezione “Evocazioni Pascoliane”.
Non poteva mancare la sezione dedicata alle acqueforti, un’arte che permise a Vittorini, negli Venti, di essere inserito in un testo che raccoglieva tutti i maggiori acquafortisti contemporanei. L’abbandono di questa tecnica ne ha poi determinato in parte l’oblio, la sua riscoperta, a partire da fine anni Sessanta, ha dovuto però attendere il 2016, con la mostra tenuta a Barga, “Umberto Vittorini nelle Collezioni private”, per vedere riconosciuta una sua dimensione non secondaria alla pittura.
In questa sezione, è presente l’opera “Foce del Cinquale”, frutto della donazione fatta, diversi anni fa, dalla signora Clementina Sganzini, colei che ha aperto la strada della Magistratura alle donne in Svizzera.
Di questa raccolta vengono messe in evidenza, “ritorno all’ovile”, quella che lui stesso indica come la prima opera stampata, e le due tipologie di “Profughi”, una acquistata, nel 1932, dal Re Vittorio Emanuele III e oggi inventariata nel patrimonio artistico del Quirinale a Roma, e l’altra, la più conosciuta, donata da Vittorini nel 1955, al Museo dell’olocausto in Israele, come memoria delle tragiche vicende familiari della seconda guerra mondiale.
Questo percorso espositivo si conclude con la pittura del secondo dopoguerra, con un interessante studio anni Settanta, in cui Vittorini ripropone un tema degli anni Venti, e una “deposizione”, che come altre del periodo, non è caratterizzata da avere sullo sfondo la Terra Santa, ma un paesaggio riconducibile all’amata Valle de Serchio.
Una sorta di testamento, in cui Vittorini ci dice, nel suo linguaggio più consono, quale luogo ha scelto per la sua ultima dimora.
Tutte le sezioni, sono accompagnate, da pannelli descrittivi gentilmente donati dalla Fondazione Ricci ETS.
La collezione vuole rappresentare il lungo percorso di Vittorini nell’arte del Novecento, presentandocelo come un artista veramente autentico, in una esistenza totalmente spesa per i suoi grandi amori: la moglie Vittorina, compagna e musa di una vita, e l’arte.
L’amore per la pittura, quella che non esitava a definire amante scontrosa, ha resistito anche nei momenti più difficili, quando la creatività sembrava abbandonarlo, anzi si è rafforzato nelle difficoltà, superate anche grazie all’attaccamento a questa sua terra, rifugio da cui trarre beneficio fisico e artistico.
Una professione, esercitata, rigettando ogni forma di compromesso o opportunismo, nonostante la critica, o il mercato, troppo spesso, premiassero di più chi si dava in pasto alla moda del tempo più che alla vera ricerca nell’arte.
Ad arricchire e a ribadire l’unicità di questa esposizione permanente vi sono foto e documenti d’epoca, ma sopratutto dei cimeli, la tavolozza e i tubetti di colore e il cappello di Umberto, frutto di importanti donazioni fatte da persone legate da vincoli di parentela a Vittorini, mi riferisco alla famiglia Gambassi-Pensa di Busto Arsizio e Bagnoli di Pisa.
La sua arte, come tutte le cose, può piacere o no, ma nel Novecento non sono molti gli artisti che possono vantare simili esperienze e riconoscimenti.
Nessuna descrizione della foto disponibile.

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